Influence Map, think tank indipendente che fornisce analisi e dati per migliorare la comprensione di come il business e la finanza influenzano la crisi climatica, ha rilasciato,  il report Climate funds: are they Paris aligned? con l’obiettivo di fornire un’analisi accurata e approfondita sullo stato dell’arte dei fondi azionari di tipo Esg.

Negli ultimi anni la forte crescita, nel mercato finanziario, dei fondi Esg e, più in generale, dei fondi legati a obiettivi di contenimento della crisi climatica, sta destando preoccupazioni da parte dei regolatori circa la qualità, la coerenza e la trasparenza di questi prodotti, soprattutto nei confronti degli investitori.

La ricerca intitolata Climate funds: are they Paris aligned? appena pubblicata da Influence Map analizza 723 fondi identificati inequivocabilmente come fondi equity Esg o, più in generale, come fondi equity relativi a obiettivi di contrasto al cambiamento climatico, per un valore complessivo di 330 miliardi di dollari di patrimonio netto.

L’analisi è stata fatta sulla base di due criteri climatici: l’allineamento del portafoglio rispetto agli obiettivi definiti dall’Accordo di Parigi e l’intensità dei combustibili fossili; si vuole così valutare quanto questi fondi siano in linea con obiettivi globali legati al clima.

La prima constatazione che emerge dalla ricerca riguarda la definizione stessa di prodotto di investimento sostenibile: la mancanza di coerenza, la grande variabilità di termini utilizzati per la nomeclatura e la promozione sul mercato di questi fondi, diventano così punti di attenzione per i regolator, che sono ormai chiamati a definire requisiti e parametri per regolamentare al meglio il settore.

A fini di analisi, i fondi sono stati quindi suddivisi in due macro categorie: fondi focalizzati su temi legati al clima (climate-themed funds, il 18% dei fondi analizzati) e fondi Esg in senso ampio (broad Esg funds, il restante 82%); andando in profondità, la ricerca mostra come i fondi classificati come climate-theme continuino a detenere, nel loro portafoglio, società appartenenti alla catena del valore dei combustibili fossili, per un valore complessivo di 153 milioni di dollari.

Tra le aziende del settore che compaiono più di frequente all’interno di questa tipologia di fondi si trovano TotalEnergies, Kinder Morgan, Enbridge, Neste, Halliburton, Chevron ed ExxonMobil.

Complessivamente, solo il 30% dei fondi analizzati risulta avere una composizione di portafoglio coerente con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Dal punto di vista del confronto relativo ai punteggi ottenuti dai gestori, a livello internazionale BlackRock, Ubs Group e State Street Corporation hanno registrato performance negative mentre Bnp Paribas e, soprattutto, Invesco si sono posizionate bene.

La variabilità di rendimento all’interno dei singoli fondi detenuti e amministrati dai gestori resta comunque molto ampia e, dal punto di vista della ricerca, un punto di attenziome.

La ricerca mostra anche altro. Tra gli aspetti su cui riflettere, la mancanza di trasparenza sulle misure utilizzate per valutare le strategie e gli obiettivi dei fondi in relazione agli obiettivi climatici globali.

Il quadro di riferimento mostra quindi un panorama di fondi incoerente e di difficile interpretazione. Diventa quindi difficile per gli investitori capire effettivamente quali siano il contenuto e gli obiettivi del fondo e, di conseguenza, orientare le proprie scelte di investimento in maniera pienamente consapevole.

» Leggi tutti gli articoli di Esg in azione (#esginazione)

Chiara Guizzetti: laureata in economia, lavora in Adfor come referente per l’area Internal Audit e Compliance (consulenza, formazione aziendale e universitaria). Crede nel valore dell’etica, della sostenibilità e del network tra persone e imprese. Appassionata di pilates e corsa | Linkedin

L’articolo Fondi per il clima e obiettivi di Parigi: vanno nella stessa direzione? è stato pubblicato su Magazine Green Planner.

Di