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Molte le ragioni del successo del bio: attenzione per la qualità del cibo, ma anche per sostenibilità del sistema agricolo e diritti dei lavoratori, in un trend che ha ricadute positive per l’economia dei territori, la capacità di innovazione del nostro paese e, tema sempre più rilevante, la tutela della biodiversità.

Chi ha intorno ai cinquant’anni si ricorderà dei viaggi in auto nelle sere d’estate, che finivano con i parabrezza e i fanali punteggiati di innumerevoli insetti.

Oggi, invece, si può viaggiare per tutta la notte senza vedere tracce di insetti. Si tratta di un’evidenza aneddottica, che conferma però un trend estremamente preoccupante: in tutto il mondo, il numero e la varietà delle specie di insetti sta crollando rapidamente.

Oltre alla perdita e alla semplificazione degli habitat e alla diffusione di specie invasive e parassiti, questo fenomeno è con ogni probabilità riconducibile anche al massiccio utilizzo di pesticidi ed erbicidi in agricoltura (e, in misura inferiore ma non trascurabile, da parte di privati e amministrazioni locali).

Una delle possibili soluzioni indicate da scienziati ed esperti per rallentare un trend che potrebbe generare cascate di effetti potenzialmente catastrofici – gli insetti hanno un ruolo centrale in svariati servizi ecosistemici, dall’impollinazione alla decomposizione, dal controllo degli infestanti al mantenimento della biodiversità – è la diffusione delle pratiche di agricoltura biologica.

Che, al netto delle questioni riguardanti le rese delle colture, si caratterizzano per un minor ricorso alle sostanze di origine chimica.

È questa, la tutela degli insetti impollinatori, uno dei motivi che hanno indotto il Wwf ad appoggiare il referendum che si terrà in Trentino il 26 settembre per chiedere l’istituzione nella Provincia autonoma di Trento di un biodistretto.

In sostanza, i promotori della consultazione chiedono che la provincia diventi un’area in cui agricoltori, cittadini, associazioni, operatori turistici e pubbliche amministrazioni operano insieme per gestire i territori in un’ottica di sostenibilità, puntando a rendere biologica l’intera filiera produttiva.

Se dovessero vincere i favorevoli, il biodistretto trentino andrebbe ad aggiungersi ai 40 che già esistono e che oggi coprono il 5,4% del territorio nazionale.

In particolare, il referendum del 26 settembre chiede che la Provincia Autonoma di Trento si impegni a promuovere le attività di conversione al biologico fino al raggiungimento del 50% della superficie provinciale utilizzata per l’agricoltura, in linea con le Strategie Ue Farm to Fork e Biodiversità 2030 che puntano al 25% di superficie agricola in biologico entro il 2030.

Il referendum trentino segnala il crescente interesse per il biologico un settore che, nel 2021 (il periodo considerato arriva a luglio), ha fatto registrare una crescita del 5% rispetto all’anno prima.

Secondo un’analisi condotta da Nomisma, oggi il bio vale in Italia 4,6 miliardi di euro, di cui oltre 3,8 di consumi domestici e più di 700 milioni di euro di consumi fuori casa.

È interessante notare che se la distribuzione negli iper e nei super, nei discount e con l’e-commerce pesa per il 56%, la quota restante arriva da negozi specializzati e di vicinato, da farmacie e parafarmacie, da mercatini e Gas.

Ai primi posti tra i prodotti più acquistati, uova, confetture e bevande vegetali, con le carni che fanno registrare la crescita più alta (+15,7% rispetto all’anno precedente).

Tra le motivazioni che spingono sempre più persone a comprare bio (nel periodo considerato almeno 9 famiglie su 10 hanno comprato almeno un prodotto bio), la volontà di consumare cibi privi di pesticidi e prodotti chimici e l’attenzione per la sostenibilità.

Rispetto della biodiversità, del suolo e del benessere animale, ma anche la richiesta di compensi equi per i lavoratori agricoli stanno alla base della scelta di comprare prodotti alimentari biologici di almeno il 39% dei consumatori.

Segnali molto incoraggianti arrivano anche dalle esportazioni, che nell’ultimo anno sono cresciute dell’11%, per un valore di 2,9 miliardi di euro, collocando il nostro paese al secondo posto nel mondo dopo gli Stati Uniti.

In questo contesto, un possibile collo di bottiglia è rappresentato dalla disponibilità di sementi biologiche. Oggi infatti nel nostro paese solo 11.000 ettari sui 203.000 complessivamente dedicati alla moltiplicazione di semi sono riservati al bio.

Di recente, Anabio Cia e alcune aziende sementiere hanno firmato un protocollo di intesa con cui le aziende si impegnano a mettere a punto un assortimento di varietà disponibili alla produzione di sementi bio certificate.

Anabio raccoglierà invece le richieste delle imprese associate, formulando dei pre-ordini con i quantitativi di ciascuna specie. In questo modo, alle ditte sementiere verrà garantita una domanda che gli permette di programmare la produzione, con l’obiettivo di arrivare a economia di scala e contenere i costi.

In questo modo, gli agricoltori associati di Anabio Cia potranno usufruire di semi bio certificati a costi competitivi. Si tratta di un passaggio centrale in vista degli obiettivi indicati da Green Deal europeo e per allineare il settore delle sementi con quello primario, che vede 2 milioni di ettari per un valore alla produzione di 3 miliardi di euro.

E un contributo alla sostenibilità complessiva del settore può arrivare anche dalle frontiere più avanzate dell’innovazione tecnologica. Lo ha ribadito di recente Giorgio Freschi, amministratore delegato di Clever Bioscience, startup pavese specializzata in prodotti per l’agricoltura basati su biotecnologie.

L’azienda, che collabora con l’università, ha sviluppato soluzioni innovative basate su microbiologia, biologia molecolare e biochimica per contrastare i patogeni e migliorare la capacità delle colture di adattarsi ai cambiamenti climatici, sostituendo i prodotti chimici con quelli biotecnologici.

L’articolo A tutto biologico è stato pubblicato su Magazine Green Planner.

Di Paolo Galli

Dal 1995 mi occupo di comunicazione online: ho lavorato in IBM, Microsoft e per oltre 15 anni in Virgilio come responsabile editoriale.