I cellulari sono una delle dimostrazioni più clamorose dei limiti dell’economia lineare: oggetti realizzati con materiali preziosi e difficili da estrarre e smaltire che dopo un periodo più o meno breve vengono gettati, con costi ambientali spesso enormi. Un progetto dell’Enea punta a migliorare tecnologie e impianti per il loro riciclo

Presi come siamo a compulsare tra le notifiche dei messaggi e gli aggiornamenti sui social tendiamo a dimenticarlo, ma tra le mani teniamo ogni giorno un piccolo deposito di materiali preziosi. Nei nostri cellulari, infatti, sono presenti oltre 50 elementi metallici e diverse terre rare.

Certo, si parla di qualche milligrammo per telefono. Tuttavia, una tonnellata di schede elettroniche estratte dai cellulari arrivati a fine vita contiene in media 276 grammi di oro, 345 grammi di argento e 132 chilogrammi di rame.

In più, se si considerano anche le altre componenti, come i magneti e le antenne, ecco che nell’elenco compaiono le terre rare (come per esempio il neodimio, il praseodimio e il disprosio), con quasi tre chili per tonnellata di smartphone.

Considerato che nel nostro Paese ci sono oltre 80 milioni di dispositivi, si fa in fretta a capire che si tratta di un giacimento enorme che vale la pena di sfruttare.

E occorre farlo bene: che la si guardi al livello delle lavorazioni necessarie per estrarre i materiali (con i costi sociali e ambientali che queste provocano) o delle quantità di rifiuti prodotti, che vengono spesso smaltiti in modi tutt’altro che innocui, la gestione del fine vita dei telefoni cellulari è una faccenda complicata e delicata.

È in questa prospettiva che va visto il progetto Portent, cofinanziato con circa 140.000 euro dalla regione Lazio e coordinato dal laboratorio Tecnologie per il riuso, il riciclo, il recupero e la valorizzazione di rifiuti e materiali dell’Enea.

Per separare e purificare gli elementi più preziosi, in alternativa alla pirometallurgia i ricercatori coinvolti nel progetto sperimenteranno le tecnologie idrometallurgiche.

Queste ultime operano a temperatura ambiente e garantiscono una riduzione dei consumi energetici e delle emissioni, facilitando la modularità degli impianti e la flessibilità di impiego.

Tutte caratteristiche che favoriscono la scalabilità e la replicabilità in contesti industriali differenti, portando a ulteriori vantaggi in termini di una maggior accettabilità sociale di queste tecnologie a livello locale.

A differenza della pirometallurgia, che per lavorare ha bisogno di enormi quantità di materiale spesso non disponibili e da reperire in aree geografiche molto distanti dagli impianti, l’idrometallurgia può infatti operare anche con quantità di materiali più ridotte, favorendo la creazione di catene di approvvigionamento locali.

A tutto vantaggio dell’economia dei territori e della capacità di innovazione delle imprese, che nella maggior parte dei casi si occupano delle fasi di trattamento e di riciclo più semplici ma meno remunerative, come la triturazione e la separazione delle plastiche e dei metalli.

E rinunciano così a recuperare le schede elettroniche ricche di metalli come oro, argento, palladio e rame, che finiscono invece alle imprese estere.

L’articolo Smartphone circolari? Sì, grazie è stato pubblicato su Magazine Green Planner.

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